La città di Arezzo ha origini antichissime: sorse in epoca pre-etrusca in una zona già abitata fin dalla preistoria, come testimoniano i ritrovamenti di utensili in pietra e del cosiddetto "uomo dell'Olmo", risalente al Paleolitico, avvenuto nei pressi dell'omonima frazione. Posta alla confluenza tra Valdarno, Casentino, Valtiberina e Valdichiana è passaggio naturale per chi voglia attraversare l'Appennino. Fu una delle principali città etrusche, con il nome di Aritim, e una delle dodici "lucumonie" costituenti la Lega etrusca. A tale periodo risalgono opere d'arte in bronzosimboli inequivocabili della Città: la Chimera d'Arezzo e la Minerva. Successivamente, sotto il dominio romano iniziato nel 311 a.C., diventerà città romana d'importanza strategica e vedrà l'edificazione dell'Anfiteatro, delle terme e del teatro. Il grande impulso all'economia e all'arte di questo periodo faranno sì che i vasi corallini prodotti ad Arezzo giungessero anche in India. Durante il Medioevo, nonostante il crollo del mondo romano e le invasioni barbariche, Arezzo mantenne prestigio e importanza. Con la ripresa successiva all'anno Mille diverrà libero Comune, fino a quando non sarà costretta ad arrendersi a Firenze, in seguito alla sconfitta rimediata nella violenta battaglia di Campaldino del 1289. Dopo una lunga crisi politica sarà ceduta definitivamente ai fiorentini nel 1384. Tanti i personaggi illustri che qui sono nati e che qui hanno lasciato testimonianze della loro grandezza: da Pietro Aretino a Francesco Petrarca, da Giorgio Vasari alla "Leggenda della Vera Croce" affrescata da Piero della Francesca. Da ricordare sicuramente anche Guido d'Arezzo (o Guido Monaco) nato intorno al 991 d.C. considerato l'ideatore della moderna notazione musicale e del tetragramma. Fu insegnante di musica e canto nella Cattedrale, arrivando a codificare la moderna notazione musicale, che avrebbe rivoluzionato il modo di insegnare, comporre e tramandare la musica. Per aiutare i cantori Guido aveva usato le sillabe iniziali dei versi dell’inno a San Giovanni Battista e le aveva usate per comporre la scala musicale. È a questo espediente che dobbiamo il nome delle note tuttora in uso, ad eccezione del Do, che Guido chiamava Ut.